L. Broillet: A cavallo delle Alpi

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Titel
A cavallo delle Alpi. Ascesa, declini e collaborazioni dei ceti dirigenti tra Ticino e Svizzera centrale (1400-1600)


Autor(en)
Broillet, Leonardo
Erschienen
Mailand 2014: Franco Angeli
Anzahl Seiten
580 S.
Preis
URL
Rezensiert für infoclio.ch und H-Soz-Kult von:
Marco Schnyder

Nel 2006 – nel suo volume Da Feudo a Baliaggio, dedicato al passaggio della Val Lugano dal ducato di Milano agli Svizzeri – Antonietta Moretti auspicava uno studio sistematico del notabilato di queste terre, che ne approfondisse sia le strategie familiari e patrimoniali, sia i rapporti con le corti italiane e con i cantoni svizzeri. Leonardo Broillet riprende esplicitamente questo invito e ci offre uno studio incentrato sulle relazioni tra i ceti dirigenti “ticinesi” (termine anacronistico, ancorché comodo, usato volentieri dallo stesso autore) e quelli dei cantoni della Svizzera centrale.

Frutto di una tesi di dottorato presentata all’Università di Zurigo nel 2013, il volume si articola in 8 capitoli, per un totale di 502 pagine di testo, a cui se ne aggiungono un’ottantina tra appendici (25 tavole genealogiche), bibliografia e indice dei nomi. Nel primo capitolo, l’autore colloca la sua ricerca nei diversi ambiti storiografici di riferimento e definisce il proprio approccio metodologico. Broillet presenta in seguito (cap. 2-4) le vicende storiche particolarmente travagliate che caratterizzano queste terre a cavallo tra XV e XVI secolo, tratteggiando nel contempo i contorni della presenza confederata a sud delle Alpi, sia negli Stati italiani (cap. 2) che nei baliaggi (cap. 3). L’autore si sofferma poi sul processo di adattamento dei ceti dirigenti locali al nuovo regime degli Svizzeri (cap. 4). I capitoli 5-7 sono invece dedicati a diversi studi di caso. In un primo tempo Broillet tratta di cinque famiglie confederate che hanno con le terre ticinesi un legame particolarmente intenso (gli urani a Pro, von Mentlen e Troger, i nidvaldesi Lussi) (cap. 5). Segue l’analisi delle vicende familiari di sei casati dell’antico ceto dirigente locale (Morosini di Lugano, Giudici di Giornico, Orelli di Locarno, Ghiringhelli e Codeborgo di Bellinzona, Franzoni di Cevio) (cap. 6). Vengono invece trattati separatamente i Ruginello di Bellinzona e i Donada di Locarno, esempi questi di ascese sociali cinquecentesche, tanto rapide quanto effimere. Nell’ottavo e ultimo capitolo infine, l’autore riprende le fila del discorso offrendo una lettura sintetica e critica dell’evoluzione del ceto dirigente ticinese prima, durante e dopo l’arrivo degli Svizzeri.

Sia a nord che a sud delle Alpi, i ceti dirigenti confrontati con il progressivo passaggio di queste terre dal ducato di Milano agli Svizzeri, sono frutto di un’evoluzione che, tra XIV e XV secolo, porta al declino di numerosi antichi casati nobiliari, a beneficio di nuovi ceti rurali e mercantili, nonché delle stesse comunità rurali. Queste famiglie si caratterizzano, tra le altre cose, per la loro pluriattività e mobilità. E i rapporti tra di esse sono intensi e multiformi: l’arco alpino è tutto fuorché una barriera. Ciò è vero, perlomeno per quanto riguarda queste vallate alpine e prealpine, soprattutto a partire dal XIII secolo, ovvero dall’apertura della via diretta del San Gottardo. È fondamentale aver presente queste intense frequentazioni per meglio comprendere il tipo d’impatto che la dominazione svizzera ebbe su queste terre.

Gli studi di caso presentati mostrano dunque chiaramente che i contatti tra i versanti alpini erano intensi già prima dell’insediamento definitivo degli Svizzeri. Questo non solo a seguito delle campagne militari confederate, ma anche grazie ad attività commerciali e ad investimenti di varia natura di cui si fanno promotori numerosi casati della Svizzera centrale in area italiana (senza dimenticare l’emigrazione di famiglie lombarde verso la Svizzera centrale, in particolare a Lucerna, fenomeno rilevabile fin dal Trecento). A profilarsi sono in particolare gli Urani, principali mediatori tra i due versanti alpini: non a caso tre dei quattro casati presentati nel cap. 5 provengono da questo cantone (a Pro, von Mentlen e Troger). Un ruolo importante lo svolgono anche i Nidvaldesi, tra i quali occupano una posizione di rilievo i Lussi, distintisi in particolare nel baliaggio di Locarno. Gli altri cantoni, ed è una constatazione importante, sono invece molto meno presenti nelle terre ticinesi. Questo è il risultato sia di tradizionali orientamenti (i cantoni occidentali e quelli meno legati al servizio mercenario non furono mai molto attivi a sud delle Alpi, ad eccezione dei mercanti zurighesi), sia del cambiamento del centro di gravità della politica internazionale. Ciò è vero soprattutto dopo la pace di Cateau-Cambrésis del 1559, quando la Francia si ritira dall’Italia relegando i baliaggi in posizione periferica dal punto di vista politicomilitare. Un altro fattore da considerare è il venir meno, nel corso del XVI secolo, della correlazione ceto dirigente-mercatura tra le fila delle élite della Svizzera centrale, in seno alle quali la rendita fondiaria, le magistrature e il servizio militare all’estero assumono un peso preponderante. Tale tendenza è particolarmente evidente a Lucerna, ciò che in parte spiega l’affievolirsi della presenza dei Lucernesi a sud delle Alpi.

Dal canto loro, i principali casati dei borghi e delle valli ticinesi sfruttano abilmente gli interessi confederati in area italiana, fungendo da mediatori e informatori a diversi livelli. Questa funzione appare fondamentale nel Quattrocento e ancora nel primo Cinquecento, ossia durante i periodi di transizione tra una dominazione e l’altra, nonché nell’ambito del processo di instaurazione del nuovo regime. In questa fase storica particolarmente movimentata le opportunità di ascesa sociale sono innumerevoli, a differenza di ciò che accadrà tra Sei e Settecento, ma è anche facile decadere rapidamente, come dimostrano le parabole dei bellinzonesi Ruginello e dei locarnesi Donada.

L’autore sottolinea poi come la funzione mediatrice dei notabili locali si ridimensioni nel corso del Cinquecento (pur non esaurendosi mai, ci permettiamo di osservare, come si vedrà nei due secoli successivi). Ciò si verifica da un lato a seguito del progressivo insediamento del governo elvetico, dall’altro per il processo di acculturazione di parte del ceto dirigente dei cantoni Waldstätten (soprattutto tra gli Urani), per il quale l’italiano diventa una lingua sempre più familiare. L’influenza del ceto dirigente ticinese parrebbe dunque diminuire. In effetti, a livello sovralocale i servizi di mediazione che esso può assicurare perdono progressivamente importanza (e a ciò va aggiunto che, con l’instaurazione del sistema delle capitolazioni, il notabilato dei baliaggi viene di fatto escluso dal servizio mercenario), mentre a livello locale i cantoni consolidano la loro autorità affidando l’importante carica di landscriba non più a ufficiali indigeni, ma a famiglie e individui originari della Svizzera centrale.

Detto ciò, il ceto dirigente dei baliaggi non si defila, ma si appropria progressivamente degli altri uffici balivali finendo con il monopolizzare, non senza abusi e violenze, le istituzioni locali e di conseguenza l’accesso alle risorse. Dopo la necessaria fase di transizione – in cui, secondo l’autore, i sudditi ticinesi si sarebbero illusi di poter ottenere maggiori autonomie (una tesi interessante, purtroppo non sufficientemente sviluppata) – si forma così un’autentica aristocrazia di governo, composta da antiche schiatte nobiliari e da agnazioni mercantili, ma anche da gruppi familiari arricchiti di più recente estrazione e da famiglie confederate residenti in loco. Un ceto dirigente capace di conservare saldamente e in modo vieppiù esclusivo le redini del potere fino all’occupazione dei Francesi nel biennio 1797-1798. Il fenomeno ricalca l’aristocratizzazione osservata nello stesso periodo in seno ai patriziati delle città svizzere.

Questa monografia colma una grave lacuna storiografica. Essa non solo fornisce numerose e preziose informazioni biografiche, frutto di un notevole lavoro a livello storiografico e archivi stico, ma offre pure una lettura sintetica e critica dell’evoluzione dei ceti dirigenti, tanto dei baliaggi quanto dei cantoni della Svizzera centrale. Broillet è particolarmente attento nel rilevare il carattere non lineare e non ineluttabile della storia – queste terre non erano per forza destinate a diventare svizzere – come pure i complessi intrecci d’interessi che uniscono i ceti dirigenti dei cantoni Waldstätten a quelli dei baliaggi subalpini e, più generale, all’area italiana. Il volume contribuisce non solo a una miglior comprensione del complesso periodo di transizione tra XV e XVI secolo, ma getta anche nuova luce sui due secoli seguenti. La presenza elvetica, soprattutto dei cantoni della Svizzera centrale, non può essere ridotta al mandato balivale, alle sessioni sindacatorie e alla funzione del landscriba. Non sono poche infatti le famiglie confederate che risiedono nei baliaggi – per periodi più o meno lunghi, se non addirittura in modo definitivo –, e i cui membri si imparentano con notabili locali, acquistano terre, fanno erigere dimore signorili, praticano il credito o svolgono attività imprenditoriali di diversa natura (in particolare nel fiorente commercio di legname verso la Lombardia o in quello dei cereali verso i baliaggi). Va però ricordato che queste esperienze riguardano solo alcuni dei baliaggi settentrionali e che ne sono protagonisti perlopiù membri dei ceti dirigenti dei soli cantoni di Uri e Nidvaldo.

C’è tuttavia un aspetto che rende particolarmente faticosa la lettura di questo volume ovvero il suo carattere enciclopedico e descrittivo. Ci si può legittimamente chiedere se non sarebbe stato più opportuno adottare un approccio tematico. Ciò avrebbe evitato fastidiose ripetizioni, contribuendo nel contempo a far emergere in modo più nitido le interessanti tesi avanzate dall’autore. Ed è anche un peccato che il volume non sia accompagnato da cartine geografiche, un supporto senza dubbio prezioso in uno studio su ceti dirigenti mobili e attivi in diversi Stati (per di più pubblicato in una collana denominata “Geostoria del territorio”).

Ciò detto, la ricerca di Broillet costituisce uno studio imprescindibile non soltanto per chiunque voglia addentrarsi nella storia (prima travagliata, poi pacificata) delle terre che formano l’attuale Cantone Ticino, ma anche per chi intenda approfondire la conoscenza degli intensi rapporti tra nord e sud delle Alpi, e in particolare tra Nord Italia e Svizzera centrale, nel passaggio tra Medioevo ed epoca moderna. Un libro che, si è quasi tentati di dire, avrebbe dovuto essere pubblicato tempo fa, aiutando così generazioni di storici a non considerare in modo spesso unilaterale e ideologico (si vedano, ad esempio, le interpretazioni patriottico-nazionali) le vicende storiche di queste terre, lombarde e nel contempo svizzere.

Considerato il valore del volume recensito, dispiace concludere su una nota negativa, ma non possiamo esimerci dal fare un appunto all’editore. Quest’ultimo si è rivelato incapace di fornire una copia cartacea in omaggio alla rivista che ospita la presente recensione, com’è buon uso per le recensioni scientifiche. Non è stato nemmeno possibile procurarsi il volume dietro pagamento nelle librerie. Pur essendo consapevoli delle difficoltà che il mondo dell’editoria sta attraversando, l’aver esaurito le copie a pochi mesi dalla pubblicazione di un libro non è certo sinonimo di lungimiranza. Un atteggiamento che non fa onore al nome della prestigiosa casa editrice milanese.

Zitierweise:
Marco Schnyder: Rezension zu: Leonardo Broillet, A cavallo delle Alpi. Ascesa, declini e collaborazioni dei ceti dirigenti tra Ticino e Svizzera centrale (1400-1600), Milano, Franco Angeli, 2014. Zuerst erschienen in: Archivio Storico Ticinese, Vol. 157, pagine 162-164.

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Archivio Storico Ticinese, Vol. 157, pagine 162-164.

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